Śivaratri

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Oggi è Śivaratri (Shivaratri), il giorno nel quale Śiva (Shiva) incontri Śakti (Shakti), il giorno che rappresenta per gli induisti la luce nelle tenebre più profonde. Śiva e Śakti rappresentano l’unione dello spirito con la mente. Lo spirito è coscienza di sé, la mente è materia, incarnazione della coscienza. Śiva  è spirito (Nirgun Brahman, spirito senza materia, senza corpo), Śakti è materia.  Senza Śakti Śiva non potrebbe manifestarsi, senza Śiva Śakti sarebbe solo materia inerte.

Sati amava profondamente Śiva e diventare sua moglie divenne il suo motto. Abbandonò la vita agiata del palazzo di famiglia e si ritirò nella foresta per onorare con rigore Śiva. Nonostante suo padre lo definisse incivile e distruttore, Sati sposò Śiva, ma, a causa del padre, finì per immolarsi nel fuoco. Śiva allora, disperato per la perdita, si ritirò in meditazione sul monte Kailasha, rifiutando il mondo. Attraverso la sua pratica Śiva produsse grande energia e calore, la sua mente si riempì di una vastissima conoscenza e il suo corpo cominciò a risplendere, ma energia e conoscenza rimanevano chiuse in lui, completamente inutili. Śakti decise così di intervenire per il bene del mondo e diffondere energia e conoscenza. Rinacque così come Parvati, determinata a sposare Śiva e a riportarlo nel mondo: ” Questo cuore indomabile non conosce altro sentimento che l’amore. Coloro le cui intenzioni sono stabilite e decise non si occupano delle critiche”. Fu solo dopo un lungo periodo di pratica ce Parvati vinse il cuore di Śiva e riuscì a sposarlo. Per questo Parvati è simbolo di amore e devozione e il loro amore, essendo onesto e uguale, bilancia il femminile e il maschile, la materia e lo spirito. Senza Śakti Śiva non è in grado di manifestarsi

Śivaratri segna il giorno del matrimonio tra Śiva e Parvati. Tuttavia, in alcuni Purana, Śivaratri è anche la notte in cui Śiva balla la Tandava, la danza della creazione e della distruzione. Secondo una leggenda, durante Samudra Manthan, il mescolamento dell’oceano di latte, emerse del veleno capace di distruggere l’intero mondo, in creazione in quel momento. Deva e Asura corsero, allora, da Śiva in cerca di aiuto. Questi, per proteggere il mondo, bevve il veleno e Parvati intervenne per impedire che lo inghiotisse. Così Śiva e Śakti salvarono il mondo.

Per i devoti a Śiva Śivaratri è la festa più importante. Se il devoto la osserva con sincerità, devozione e amore ottiene la grazia divina di Śiva. Osservare questa festa permette al devoto di controllare  le due forze naturali che muovono l’uomo: rajas guna (ossia la qualità di un’attività appassionata) e tamas guna ( ossia la qualità dell’inerzia). Quando un devoto onora Śivaratri durante la giornata sarà in grado di gestire e padroneggiare rajas guna, mentre se lo osserva per tutta la  notte sarà in grado di padroneggiare tamas guna.

Shiva e il punto

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Shiva è la divinità della fine e dell’inizio; è il punto verso cui tutto converge, ma anche il punto da cui tutto ha origine e inizio. Senza il punto non potrebbe esistere il cerchio, così come non avrebbe origine il quadrato. Il punto è la forma più elementare e semplice. Per questo rappresenta la nostra forma più semplice ed elementare, l’anima, il quid che ci permette di osservare, testimoniare ed esperire il mondo. La forma senza forma che ci anima. Così Shiva è l’asceta in meditazione sul monte Kailash, ma anche il padre di famiglia e Shakti si manifesta in Kali, ma anche in Gauri; la prima selvaggia, libera, vicina alla natura, l’altra gentile, protettiva e disciplinata.

Il cerchio, il quadrato e il punto

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La mitologia indiana usa tre simboli geometrici per rappresentare le divinità della Trimurti e della Tridevi. Molto spesso il concetto di divino viene rappresentato da un simbolo, più che dalla forma “umana” della divinità, negli yantra.

Il primo simbolo è quello associato a Brahma e Saraswati: il cerchio. Il cerchio è la forma più spontanea e naturale della natura e rappresenta al meglio l’universo Hindu: senza inizio né fine, senza confini, ciclico e infinito. L’universo è il mezzo attraverso il quale il divino di presenta, dunque ogni elemento dell’universo può essere un mezzo di contatto tra umano e divino. Attraverso il cerchio di Brahma e Saraswati viene esplorata la natura dell’universo.

Il secondo simbolo è quello associato a Vishnu e Lakshmi: il quadrato. Il quadrato, con i suoi profili appuntiti, è la forma più artificiale. Quando viene disegnata all’interno del cerchio dell’universo rappresenta la meglio la cultura. Culture diverse hanno valori diversi, dunque il quadrato della cultura può essere orientato in diversi modi, ma sempre all’interno del cerchio poiché tutte le culture dipendono dalla natura per la propria sopravvivenza. Col quadrato distinguiamo il codice culturale dalle leggi naturali.

Il terzo simbolo è associato a Shiva e Shakti: il punto. Il punto è privo di dimensioni ed è la figura geometrica più elementare. Senza il punto non si potrebbero tracciare il cerchio e il quadrato. Il punto rappresenta al meglio il concetto di anima, la parte senza forma che abita nella nostra forma, il nostro corpo. Proprio come l’esistenza del cerchio presuppone l’esistenza di un punto centrale attorno al quale il cerchio si sviluppa, l’esistenza del mondo presuppone l’esistenza di un testimone del mondo. Nel punto l’anima si realizza e la materia trova una sua validazione.

 

Devduut Pattanaik – Myth=Mithya – Penguin Books

 

 

Il Tilak

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Il Tilak viene applicato al centro delle sopracciglia, dove si trova ajna chakra, sede dei pensieri e delle memorie passate. Gli induisti lo applicano per ricevere la benedizione dal divino e per proteggersi da forze negative. E’ un dato di fatto che il corpo emani onde elettromagnetiche. Il punto dove risiede ajna chakra è quello che ne emana di più. Questo spiega anche perché, quando una persona è tesa o ansiosa, viene generata una gran quantità di calore che provoca mal di testa. Migliaia di anni fa scoprirono un metodo per salvaguardare questo punto sulla fronte per prevenire anche una perdita di energia. Applicare la pasta di sandalo, curcuma e zafferano è un metodo efficace per riportare calma e controllo.

A seconda della divinità alla quale l’induista è devoto, il materiale che viene applicato e il simbolo cambia. In India esistono tre principali gruppi di devoti: Shaktas (devoti a Shakti), Vaishnav (devoti a Vishnu) e Shaivaiti (devoti a Shiva).

I devoti a Shakti applicano un punto in mezzo alle sopracciglia: gli uomini giallo (curcuma) e le donne rosso (sempre di curcuma) per rimuovere l’energia negativa. Alcuni si disegnano un punto bianco per favorire lo sviluppo della persona e della famiglia.

I devoti a Vishnu si disegnano una V bianca che rappresenta i piedi di Narayana (avatar di Vishnu) con una linea in mezzo rossa che rappresenta l’anima.

I devoti a Shiva si disegnano tre linee bianco/grigie di cenere sulla fronte. La linea superiore simboleggia lo svarga, il paradiso, la linea centrale l’inferno mentre la più bassa la terra. Ognuna delle tre linee rispettivamente simboleggiano il corpo fisico, la mente e gli oggetti materiali.

La mala e i 108 grani

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La mala viene usata come aiuto per contare le preghiere. Molti Hindu usano quella a 108 grani, la più diffusa. Questo numero è considerato sacro, secondo diverse spiegazioni. Il grano più in alto si chiama meru, non si conta e segna la partenza e l’arrivo del giro lungo la mala.

  1. Il praticante ripete i mantra in Sanscrito, lingua che ha 54 suoni o lettere. Ogni lettera ha due aspetti: uno maschile (Shiva), l’altro femminile (Shakti). 54 moltiplocato per 2 ci dà, ovviamente, il numero 108. Così, passando tutti i 108 grani, invochiamo l’aspetto femminile e l’aspetto maschile del suono interiore che fa parte delle lettere e dei suoni di un mantra, generando così delle vibrazioni favorevoli per noi.
  2. Nel nostro corpo ci sono 54 importanti intersezioni tra i circa 84.000 nervi che ne fanno parte. Ogni intersezione ha qualità femminili e maschili (ancora torniamo alle forze della natura e a Shakti e Shiva), qualità che funzionano nel nostro corpo attraverso le due nadi (canali energetici), ida e pingala, quindi ancora una volta 108. Attraverso i mantra attiviamo ogni intersezione nel nostro corpo, senza esserne consci.
  3. I 108 grani rappresentano i 108 elementi che costituiscono l’universo. Il sole è iil fulcro dell’universo. Ogni orbita nello spazio ha 360 gradi che, convertiti in minuti, sarebbero 360 X 60 = 21.600. Il sole rimane per metà dell’anno presente su ciascuno lato, alternando nord e sud. Se dividiamo la somma totale dei minuti in due otteniamo 10.800 minuti. Rimuovendo gli ultimi due 0 per facilità di conteggio otteniamo ancora 108.

In tempi antichi, a seconda dello scopo da raggiungere, i saggi indicavano un tipo di mala piuttosto che un altro. Per ottenere la salvezza una mala da 25 grani, quella 30 per avere salute e quella da 27 per avere successo in imprese personali,  per un benessere totale la mala da 108 grani.

Anche il materiale che costituisce i grani ha la sua importanza, poiché ognuno genera delle vibrazioni differenti nel corpo. In particolare i semi di Rudraksha hanno un grande significato da sempre, poiché, secondo gli Hindu, hanno poteri e proprietà divine e mistiche e mettono al riparo da peccati, pensieri e atti cattivi. L’etimologia del nome di questa pianta è molto bella: rudra è un altro nome per Shiva, mentre aksha significa lacrima. Si dice che questa pianta sia nata proprio dalle lacrime di Shiva e conferisca a chi ne indossa i semi, il potere di superare la paura, permettendo, quindi, di controllare stress e portare pace, stabilità e sernità. Ricerche moderne hanno evidenziato come questi semi abbiano proprietà elettromagnetiche e induttive (pari a 7 millivolt, pari, cioè, a quanto rilevato nella maggior parte dei corpi).

Liberamente tratto da: K. V. Singh, Hindu Rites and Rituals
Foto di Sara Ottanà