Varaha, il cinghiale

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Varaha è un avatara o reincarnazione di Vishnu, apparso due volte per salvare Bhumi Devi, la Terra. La prima volta che si incarna è all’inizio della creazione, quando la dea giace nelle profondità dell’oceano Garbhodhaka (che riempie metà dell’universo); la seconda, quando l’opera del terribile asura Hiranyaksa ha sconvolto tanto il suo equilibrio da farla cadere di nuovo nell’oceano Garbhodhaka. Il cinghiale, arrivato sul fondo dell’oceano, solleva la Terra con le sue zanne e la riporta in superficie. Per evitare che la Terra possa scivolare via e cadere di nuovo durante la risalita, Varaha la stringe così forte da formare le pieghe che oggi sono i monti e le vallate. Per questa ragione Vishnu è celebrato anche come marito e protettore di Bhumi Devi ed insieme sono adorati come Bhumi-Varaha.

Navaratri – giorno 6 – distruggere le paure

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Oggi è il giorno di Katyayani una dea guerriera, nata dalla rabbia spontanea degli dei nei confronti dell’asura Mahisasura, sotto forma di raggi. Visnu, Siva, Brahma insieme agli altri dei emisero delle fiamme così potenti da formare una montagna splendente dalla quale emerse Katyayani, risplendente come mille soli, con tre occhi, i capelli neri e diciotto braccia. Śiva le donò il suo tridente, Visnu il sudarśan cakra, Varuna una conchiglia, Agni un dardo, Vayu un arco, Surya una faretra piena di frecce, Indra un fulmine, Kuvera una mazza, Brahma un rosario e una citola di acquz, Kala uno scudo e una spada, Visvakarma un’ascia da battaglia e altre armi. Così armata e adorata dagli altri dei Katyayani si diresse verso la collina di Mysore. Qui gli asura la videro e catturati dalla sua bellezza, la descrissero al loro re, Mahisasura, desideroso di incontrarla. Le chiese la mano, am lei gli rispose che avrebbe dovuto convincerla battendola in battaglia. Katyayani scese dal suo leone e salì sulla schiena di Mahisasura, che si era presentato sotto forma di bufalo. Coi suoi piedi lo accarezzò fino a farlo cadere senza sensi a terra. Allora gli tagliò la testa (Devi Bhagavata Purana).

Katyayani rappresenta la nostra capacità di affrontare le nostre paure più radicate e di superarle con fierezza, grazie anche all’aiuto di chi ci sta intorno.

Navaratri

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Ieri, 29 settembre, ha avuto inizio per gli induisti, Navaratri, un festa nella quale si festeggia per 9 notti la Dea e il suo potere. In molte parti dell’India, in questi giorni, le donne vengono celebrate e invitate a sedersi per essere adorate come la Devi; viene loro offerto cibo e ricevono in dono vestiti. A seconda della zona dell’India cambiano le celebrazioni, ma in quella più diffusa si festeggia per i primi tre giorni Durgā, espressione divina di forza, energia potente capace di distruggere i demoni dell’egoismo e dell’adharma, ossia l’incapacità di agire secondo empatia nei confronti degli altri.

Durante i tre giorni successivi si festeggia Lakṣmī, dea della prosperità che porta la luce necessaria ad allontanare l’ignoranza, mentre gli utlimi tre giorni sono dedicati a Sarasvatī, espressione della conoscenza, del linguaggio e delle arti.

A Navaratri è legata anche l’idea di nuovo inizio, non a caso viene festeggiata all’inizio dell’autunno e all’inizio della primavera. E’ un momento nel quale ci si purifica dalle proprie colpe e si ricomincia con nuova energia. L’ultimo giorno viene chiamato anche giorno della vittoria e fa riferimento al mito di Durga nel quale si narra dell’asura Mahiṣā che, sottoponendosi a un duro periodo di ascesi, fu premiato da Śiva, ricevendo il potere di non essere sconfitto da nessuna divinità. L’asura, forte del proprio dono, cominciò a comportarsi in modo tracotante, sottoponendo tutti ad angherie e spargendo terrore nei tre mondi. Gli dei decisero così di intervenire, ma il dono di Śiva li rendeva impotenti: ogni volta che provavano ad uccidere Mahiṣā, questi rinasceva cambiando forma. Così gli dei decisero di rivolgersi a Śakti, la dea per chiedere aiuto. Le tre dee supreme, Lakṣmī, Sarasvatī e Pārvatī, unirono la propria energia creando una dea dall’aspetto temibile: Durgā. Le divinità maschili le donarono i loro poteri e le loro armi, per renderla invincibile:

Śiva le donò il Triśūla, o tridente, che rappresenta i tre guna, o qualità, dei quali è fatto il mondo.

Viṣṇu le donò il Sudarśana cakra, o disco, che rappresenta il centro della creazione.

Brahma le donò il loto, che rappresenta la purezza della saggezza e la liberazione attraverso la conoscenza.

Indra le donò il Vajra o fulmine, che rappresenta la fermezza di carattere e la determinazione.

Agni le donò una lancia, che rappresenta il potere puro.

Varuṇa le donò la conchiglia, che rappresenta il suono primordiale AUM.

Mossa da compassione per l’universo Durgā combatté per nove notti Mahiṣā. AL decimo giorno la dea trafisse l’asura con il Triśūla.

(Markandeya Purana)

 

 

Matsyendranath e lo Yoga

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Un tempo, una coppia che stava per avere un figlio scoprì che questi sarebbe nato in un periodo sfavorevole. Il bambino avrebbe portato sfortuna non solo a loro, ma anche a tutto il clan, per cui, per non rischiare, decisero di abbandonarlo gettandolo nel fiume. Il bambino fu inghiottito, intero,  da un grosso pesce e crebbe lì dentro.

Un giorno, Śiva e Pārvatī si trovavano accanto alle rive di un fiume. Śiva, dopo un lungo periodo di ritiro sul monte Kaliaśa, era tornato per insegnare alla moglie i segreti della pratica dello Yoga. In quel momento il pesce gigante si trovava a nuotare proprio in quella parte di fiume: attirato dalle voci si fermò ad ascoltare. Pārvatī se ne accorse e lo indicò a Śiva, che gli si rivolse per sapere chi fosse. Dal ventre del pesce uscì una voce: “Oh Śiva, la conoscenza che stai impartendo a Pārvatī mi affascina. Sono completamente rapito e incapace di allontanarmi dalle tue parole”.

Incapace di contenere il proprio stupore, Śiva chiese al proprietario della voce di rivelarsi e mostrarsi e Matsyendranath raccontò tutta la sua storia, fin da principio. “So che i miei genitori mi hanno considerato sfortunato, ma io credo di poter fare del bene”. Toccato dalle sue parole, Śiva lo scelse per diffondere tra gli uomini quello che aveva imparato ascoltandolo dal ventre del pesce e trasformò il pesce in uomo, dandogli il nome di Matsyendranath, che significa Signore dei pesci.

Gli amori di Surya, il dio Sole

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Surya è una delle divinità più antiche. E’ menzionato nei Veda, gli antichi testi indiani. Viene rappresentato su un carro trainato da 7 cavalli, i 7 giorni della settimana, il carro ha 12 ruote, i 12 mesi dell’anno. E’ considerato un dio romantico, a lui sono legati diversi aneddoti. Uno, tratto dal folklore indiano, racconta di Suryamukhi (il girasole), che lo adora così tanto da fissarlo in continuazione, mentre lui non la guarda. Si tratta di un amore non corrisposto. Un altro racconto, tratto ancora dal folklore, racconta di Raat Rani (regina della notte), fiore che viveva in cielo ed era innamorata di Surya, che, ancora una volta, non la considerava. Raat Rani stava così male che decise di scendere sulla terra e sbocciare solo di notte, così che Surya non potesse più toccarla. Così Raat Rani sprigiona il suo profumo solo di notte, quando il sole è assente. Nei Purana si parla di Saranya, la figlia di Visvakarma, l’architetto del cielo. Saranya è la moglie di Surya. La sua storia la potete leggere qui

Male e Karman

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La parola italiana male non può essere tradotta in nessuna lingua indiana. Non ci sono sinonimi in Hindi o Tamil. Il male indica l’assenza di bontà e, per le persone religiose, indica l’assenza di Dio. Nella Bhagavad Gita, Kṛṣṇa dice che tutto ciò che esiste è una manifestazione divina; di conseguenza nulla può essere cattivo.

Molti indiani credono nella reincarnazione e nella teoria del karman, secondo la quale ogni evento è il risultato di qualche evento passato. Persino il peggior evento può essere spiegato grazie al karman. In un Purana, per esempio, viene riportata la storia di Sītā, che per sbaglio uccide un uccellino. Il compagno la maledice augurandole che anche lei, in futuro, venga separata dal suo amato. In un altro Purana Viṣṇu decapita lamadre di un saggio che stava tentando di aiutare un asura. Per questo Viṣṇu viene maledetto a discendere sulla terra sotto forma di essere umano ed esperire la morte. Persino le divintà sono soggette alle leggi del karman.

Quando tutto è sotto l’influenza del karman, il concetto di male non ha più senso. L’uomo è visto come un essere umano che può trasformarsi in eroe o in cattivo a seconda delle differenti situazioni, liberandolo dall’etichetta di buono o cattivo, dalla quale, spesso, è impossibile liberarsi.

Mayuresha, il signore dei pavoni

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Deva e Asura erano in guerra tra di loro per ottenere Amrita, il nettare dell’immortalità. Per porre fine alla guerra Vishnu propose loro di unire le forze e collaborare per estrarre il nettare dall’oceano cosmico. Avrebbero dovuto mescolare l’oceano con il monte Mandara. 

Deva e Asura cominciarono a mescolare. Il monte iniziò ad affondare e apparve Kurma, la tartaruga che sostiene la montagna sul suo enorme e solido guscio. 

Tutti attendevano la comparsa del nettare, ma, al suo posto, comparve un terribile veleno, Halahal, che minacciava di distruggere l’intero universo.

Deva e Asura chiesero allora aiuto a Shiva che, per salvare tutti gli esseri viventi, raccolse tutto il veleno nel palmo della mano e lo bevve. Shiva si rese conto di essersi messo in pericolo, ma quello era l’unico modo per salvare l’universo.

Parvati, che si trovava di fianco a lui, rimase impietrita dal terrore: “No! Cos’hai fatto?!” urlò. Realizzando di avere solo pochi minuti per agire, immediatamente afferrò la gola di Shiva e blocco il veleno nella gola, bloccandolo lì, in modo che non potesse uscire, ma neanche scendere e avere un effetto negativo in qualche modo sul dio. La gola si colorò di blu, come la gola del pavone, mayura in sanscrito, e Shiva fu chiamato anche Mayuresha o Signore dei Pavoni.

La storia di Matsya, il pesce

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Tanto tempo fa Brahma, il creatore, si addormentò causando un periodo di dissoluzione. La pioggia cominciò a scendere e l’acqua a salire pericolosamente. Un demone di nome Hayagreeva approfittò della situazione e rubò i 4 Veda, che contenevano tutta la saggezza.

Ogni volta che il dharma è minacciato, Vishnu interviene incarnandosi. La forma che prese in questo frangente fu quella di un pesce, matsya.

Un giorno il saggio re Satyavrat stava facendo un bagno quando un piccolo pesce nuotò tra le sua mani e gridò “Maestà proteggimi!” 

Il re mise il pesciolino in una ciotola fatta di guscio di noce di cocco e lo portò a casa. La mattina dopo lo trovò cresciuto, così prese una ciotola più grande ma il pesciolino continuava a crescere giorno dopo giorno. Crebbe così tanto che il re dovette portarlo al mare. Il pesce chiese di non essere buttato nel mare per paura dei mostri che lo popolavano. Al re, allora,  fu chiaro che non si trattava di un normale pesce. Satyavrat chiese allora al pesce di mostrare le sue vere sembianze e si trovò davanti Vishnu. Questi gli disse che in 7 giorni il mondo intero sarebbe stato sommerso e promise di mandargli una barca dove il re avrebbe dovuto raccogliere tutti i semi, le piante e i corpi sottili di tutti gli animali presenti sulla terra per aiutarlo poi a ricreare il mondo. Una volta pronta la barca Vishnu si sarebbe presentato sotto forma di pesce; il re avrebbe dovuto legare la barca sul dorso del pesce in modo che questo potesse trasportarla in salvo. Nel frattempo Matsyavatar/Vishnu avrebbe recuperato i 4 Veda: il dio si immerse fino a raggiungere il grande mostro marino, creatura antica quanto la creazione, che aveva rubato dalla terra i Sacri Veda e si era poi rifugiato in una conchiglia nelle profondità dell’Oceano; Vishnu ne aprì la pancia, da cui uscirono quattro creature che simboleggiavano i quattro Veda. Durante il viaggio Mastyavatar raccontò a Satyavrat dello yoga e delle sue forme. Il suo discorso oggi è conosciuto come Matsya Purana. I due navigarono per molto tempo, attraverso ere, finché Brahma non si svegliò e un nuovo mondo scintillante emerse dall’oceano. Satyavrat divenne Manu, la guida, il padre, di tutte le creature.

Śivaratri

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Oggi è Śivaratri (Shivaratri), il giorno nel quale Śiva (Shiva) incontri Śakti (Shakti), il giorno che rappresenta per gli induisti la luce nelle tenebre più profonde. Śiva e Śakti rappresentano l’unione dello spirito con la mente. Lo spirito è coscienza di sé, la mente è materia, incarnazione della coscienza. Śiva  è spirito (Nirgun Brahman, spirito senza materia, senza corpo), Śakti è materia.  Senza Śakti Śiva non potrebbe manifestarsi, senza Śiva Śakti sarebbe solo materia inerte.

Sati amava profondamente Śiva e diventare sua moglie divenne il suo motto. Abbandonò la vita agiata del palazzo di famiglia e si ritirò nella foresta per onorare con rigore Śiva. Nonostante suo padre lo definisse incivile e distruttore, Sati sposò Śiva, ma, a causa del padre, finì per immolarsi nel fuoco. Śiva allora, disperato per la perdita, si ritirò in meditazione sul monte Kailasha, rifiutando il mondo. Attraverso la sua pratica Śiva produsse grande energia e calore, la sua mente si riempì di una vastissima conoscenza e il suo corpo cominciò a risplendere, ma energia e conoscenza rimanevano chiuse in lui, completamente inutili. Śakti decise così di intervenire per il bene del mondo e diffondere energia e conoscenza. Rinacque così come Parvati, determinata a sposare Śiva e a riportarlo nel mondo: ” Questo cuore indomabile non conosce altro sentimento che l’amore. Coloro le cui intenzioni sono stabilite e decise non si occupano delle critiche”. Fu solo dopo un lungo periodo di pratica ce Parvati vinse il cuore di Śiva e riuscì a sposarlo. Per questo Parvati è simbolo di amore e devozione e il loro amore, essendo onesto e uguale, bilancia il femminile e il maschile, la materia e lo spirito. Senza Śakti Śiva non è in grado di manifestarsi

Śivaratri segna il giorno del matrimonio tra Śiva e Parvati. Tuttavia, in alcuni Purana, Śivaratri è anche la notte in cui Śiva balla la Tandava, la danza della creazione e della distruzione. Secondo una leggenda, durante Samudra Manthan, il mescolamento dell’oceano di latte, emerse del veleno capace di distruggere l’intero mondo, in creazione in quel momento. Deva e Asura corsero, allora, da Śiva in cerca di aiuto. Questi, per proteggere il mondo, bevve il veleno e Parvati intervenne per impedire che lo inghiotisse. Così Śiva e Śakti salvarono il mondo.

Per i devoti a Śiva Śivaratri è la festa più importante. Se il devoto la osserva con sincerità, devozione e amore ottiene la grazia divina di Śiva. Osservare questa festa permette al devoto di controllare  le due forze naturali che muovono l’uomo: rajas guna (ossia la qualità di un’attività appassionata) e tamas guna ( ossia la qualità dell’inerzia). Quando un devoto onora Śivaratri durante la giornata sarà in grado di gestire e padroneggiare rajas guna, mentre se lo osserva per tutta la  notte sarà in grado di padroneggiare tamas guna.

Go-mata, la madre terra

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Nell’induismo antico gli uomini credevano che la divinità si trovasse ovunque: Yaksha  (spiriti benevoli) nelle rocce e nei sassi, Apsara (ninfe dell’acqua) nei corsi d’acqua e nei fiumi e Gandharva nelle piante. Nel Bhagavata Purana Krishna sradica un albero e lo spezza in due per liberare due Gandharva. Le mucche sono adorate come madri, go-mata; la natura, Prakriti, è raffigurata sotto forma di mucca perché ciò che la terra produce è ciò che ci nutre, come il latte della vita.